Lamberto Melina: le luminose ombre dell’inconscio
14 dicembre 2022

Palma Arte ha il piacere e l’onore di intervistare Lamberto Melina, artista dalla caratura internazionale la cui opera si caratterizza per un virtuosismo tecnico raro e una visione poetica oltremodo complessa e affascinante.

Secondo il biocentrismo di Robert Lanza la coscienza umana sarebbe l’unica chiave per la comprensione della Realtà. All’interno di questa teoria le stesse categorie fondamentali di Tempo e Spazio si riducono a umili strumenti ideati dalla coscienza stessa per rendere intellegibile il Mondo che ci circonda. Quanto la tua ultima produzione è “debitrice” a questa corrente di pensiero che si pone fra scienza e filosofia?

Per rispondere a questa domanda è necessario anticipare che il motivo per cui io “faccio arte” non è estetico, ma speculativo. Le icone che realizzo servono a mediare un significato e non a crearlo e quindi le mie opere descrivono un mondo che c’è, ma che è per lo più celato in una dimensione che, a noi occidentali, è quasi preclusa a causa di pregiudizi storiografici, scientifici e filosofici. La strabiliante illuminazione che l’opera di Robert Lanza porta nel mondo della fisica e della biologia (in sostanza che l’universo intero agisce con il “fine” di creare la vita intelligente) travolgendone i confini fino alla metafisica, trascina finalmente nel reale tutta quella branca della scienza che da oltre un secolo è confinata in un limbo d’incomprensione e di fraintendimenti new age, la fisica dei quanti. Lo so, oggi tutti parlano di fisica quantistica come se la conoscessero, ma si fidi di uno che ha studiato Fisica, la quasi totalità non sa di cosa sta parlando, spesso nemmeno chi di Fisica vive. Robert Lanza fa scendere sulla terra, tra noi, nei nostri atti quotidiani, teorie spesso astruse che ancora oggi generano risultati sperimentali incomprensibili e sbalorditivi. Uno degli assunti fondamentali (dimostrato) della sua teoria è che tutto è immagine, nulla è realmente e oggettivamente presente nel mondo esterno a noi. Ogni cosa, ogni atto, ogni evento sono frutto della nostra proiezione immaginifica e della proiezione immaginifica del nostro gruppo umano locale, più o meno grande (l’inconscio archetipico collettivo). Inutile dire che queste conclusioni sono scienza e non spiritualismo, stiamo parlando di uno dei maggiori scienziati americani. Là fuori quindi non c’è in realtà nulla e, per quanto sia difficile per la nostra mente comprenderlo, il reale si compone solo di fluttuazioni elettromagnetiche che il nostro cervello interpreta come entità solide all’interno di uno spazio virtuale e allineato in una sequenza di eventi che noi interpretiamo come “tempo” (anche questo inesistente). Le mie opere spesso “parlano” di questo: il fatto che noi si sia immersi in un ologramma che ha una realtà solo elettrica e magnetica, fa sì che il nostro potere di trasformazione di questa realtà sia molto grande, dato che la nostra mente, i nostri pensieri e la nostra coscienza (il più grande mistero dell’universo come la definì Max Planck) altro non sono che elettricità e magnetismo. E qui il terreno si fa pericoloso perché fare queste affermazioni senza il rischio di deriva new age è davvero difficile. Ovviamente non è possibile per noi, che siamo su questo piano vibrazionale apparentemente fisico, mutare l’intero reale con il solo pensarlo differente. Però…. Però possiamo guidarlo, piegare gli eventi, indirizzare la nostra vita. Si possono fare innumerevoli esempi di persone in risonanza con tutta la sfortuna o la fortuna possibile. Ecco alcune mie opere trattano di questo, o meglio suggeriscono sottovoce che la nostra storia non è ineluttabile e già scritta, ma che possiamo intervenire, agire su piani sottili affinché il mondo ci sorrida. Qui dovrei parlare della funzione terapeutica della mia arte, anzi di tutte le opere d’arte…. Tema immenso… solo due parole… c’è una struttura nel nostro cervello (l’ipotalamo) che interpreta i segnali che arrivano dagli organi di senso generando reazioni endocrine di risposta e quindi una serie di reazioni a cascata nel nostro corpo. Ma cosa “sente” questa struttura antica del nostro cervello? Sente paura, amore, calma, ansia, ecc… e da cosa derivano queste azioni emotive? Dalla reazione del nostro cervello profondo ad una serie di figure simboliche ancestrali, cerchi, triangoli, aste, quadrati, icosaedri, tetraedri e così via (il mondo delle essenze di Platone o la schiuma quantica di Planck come la si voglia intendere) di cui è sommariamente composta la presunta realtà esterna: simboli arcaici e immutabili che fanno parte delle esperienze di ogni essere umano in ogni dove e in ogni tempo e che generano sempre le stesse reazioni biochimiche endocrine e quindi sempre le stesse gioie o le stesse patologie in tutti gli esseri umani del pianeta. Ecco, tornando alla nostra possibilità di guidare la nostra vita e della funzione che le opere d’arte possono avere nella vita di chi le possiede, posso dire che esse hanno un enorme potere, che può essere terapeutico o malevolo, creativo o distruttivo. E lo hanno sempre. La maggior parte degli artisti non è minimamente cosciente di questo occulto potere della propria arte. Non sanno che una volta appese al muro, le opere emanano di continuo una semantica subliminale complessa, significati esoterici e archetipici, indecifrabili dalla nostra mente cosciente, ma perfettamente intellegibili dal nostro cervello profondo; segnali e simboli che col tempo possono apportare grande benessere a chi li sperimenta giorno dopo giorno, oppure grandi malesseri, o malattie fisiche o dello spirito. Lo so materia complessa… Quindi in ultima analisi, sì, Robert Lanza e la sua teoria Biocentrica sono uno dei fulcri concettuali fondamentali del mio operato.

Tra i tuoi soggetti spiccano figure femminili ideali, caratterizzate da una bellezza eterea e incorruttibile. Donne e bambine sospese in una dimensione atemporale, in uno spazio non definito. Il loro sguardo tuttavia è antico e sembra parlare in un linguaggio oracolare all’osservatore, il quale si trova coinvolto in un processo di conoscenza quasi maieutico. Chi sono costoro? Creature fantastiche? Alcune fra le infinite sfaccettature dell’archetipo dell’Eterno Femminino? Divinità?

Qualche anno fa mi sono poi imbattuto in una pratica psicologica a prima vista a dir poco strampalata, ma che si rivelò a posteriori una porta verso un universo metafisico e simbolico di rara bellezza: la Comunicazione Analogica. Sorvolando le opinabili finalità terapeutiche, ciò che affascina del metodo è l’evidenza pratica che tutti gli esseri umani, e dico tutti, nessuno escluso, posti davanti al simbolo di un triangolo o a quello di un obelisco reagiscono inconsciamente con dei movimenti fisici incontrovertibili, mostrando accettazione o rifiuto per l'uno o l'altro dei simboli. L’umanità tutta, a prescindere dalla cultura e dalla storia locale, reagisce allo stesso modo. Chi ha scoperto questo strano fenomeno, Stefano Benemeglio, ha poi tratto delle semplicistiche conclusioni da psicologo, definendo coloro che venivano attratti dall’obelisco come condizionati dalla figura paterna e quelli attratti dal triangolo come condizionati dalla figura materna. Durante un corso di Comunicazione Analogica però feci una domanda che spiazzò i relatori aprendo al contempo un enorme campo di studi; chiesi: “nella storia conosciuta molte civiltà hanno costruito piramidi (Egiziana, Maya, ecc) e molte altre obelischi (i romani e i grattacieli contemporanei per es.). C’è una relazione tra la struttura matricentrica e patricentrica delle rispettive società?” Allora non ricevetti risposta, ma ora so che la relazione esiste e che, ad esempio, ciò che viene costruito oggi per glorificare i potenti (gli infiniti obelischi cresciuti nelle nostre città da un secolo a questa parte) è segno della devianza iperrazionale e patricentrica della monocultura mondiale (in opposizione alle società squilibratamente matricentriche Maya, Azteche, Egizie e così via). Il nostro mondo rifiuta il feminino come condizione di umbratile incertezza e di passionale indeterminazione creativa e predilige il gretto scientismo finalistico e la ragione causale. Questo lo vediamo in tutti i campi della cultura e delle politiche occidentali che ormai dominano l’intero pianeta, con tutte le conseguenti aberrazioni.

Qui risiede uno dei motivi per cui le mie rappresentazioni mostrano figure femminili che emergono o entrano nell’ombra: lo scopo è, attraverso il semplice linguaggio figurato, di suggerire che il reale non è solo ciò che ci hanno insegnato, ovvero una sequenza di atti che ne causano altri, bensì è una densa amalgama di possibilità, dove sfumature finalistiche ammantano ogni cosa od atto, dove l’emozione e la passione guidano le scelte e dove la realtà non è mai certa, ma solo possibile e appunto infinitamente creativa in quanto (come dalla risposta alla domanda precedente) immaginifica, ologrammatica o, se vogliamo, rappresentazione di una realtà onirica fatta per lo più di simboli, segni ed elementi mitologici, metaforici, archetipici e poetici. Il mio è un invito a riscoprire il feminino dentro di noi, quella parte oscura e misteriosa che ci fa percepire più che sentire, e che ci può condurre in territori sconosciuti attraverso poteri dimenticati. Poteri che sono dentro di noi, in parte nel lobo sinistro del nostro cervello, e in gran parte a disposizione della nostra coscienza che, se “allenata”, può condurci a rasentare i mondi collaterali che ci affiancano in questa vita, prelevando da essi ciò di cui che la nostra anima abbisogna.

Per cui sì, raffigurare figure femminili ha una finalità, che è quella ammaliare e di prendere per mano chi guarda e di invitarlo a sondare il proprio mondo interiore alla ricerca di meraviglie precluse ai più. E sì, sono atemporali perché anche la fisica ha dimostrato che il tempo non esiste, ma è solo un costrutto della mente razionale per mettere in fila gli eventi. E infine altri due sì alle domande: sì perché le mie figure sono oracolari, mitologiche, divine e sciamaniche insieme perché detentrici delle immagini simboliche attraverso cui sono rappresentate la nostra immagine e l’immagine del mondo in cui appariamo. Esse ci trasportano in un luogo senza tempo e senza contesto, un luogo dove chi guarda lascia ogni collegamento al reale conosciuto per penetrare in un universo di bellezza, di benessere, di amore e di divinità benevole. E se mi si chiede dov’è questo universo, io rispondo con l’ultimo sì: il processo è assolutamente maieutico perché noi tutti siamo sì divisi tra noi, ma uniti gli uni agli altri attraverso un collegamento archetipico o animico e forse anche emozionale e atemporale (come dimostrano gli esperimenti di psicologia di gruppo svolti durante la tragedia dell’11 settembre), e sicuramente coscienziale. L’esperimento di Einstein, Podolsky e Rosen (EPR) all’inizio del secolo scorso ha spalancato un mondo che si genera a partire da una coscienza che lo pensa e, per estensione, alla rappresentazione del mondo che conosciamo come frutto dell’interazione tra più coscienze. Ecco che quindi il processo di liberazione dal patricentrismo iperrazionale ed iperegoico passa per la presa di coscienza che gli esseri umani sono tra loro tutti collegati ad un livello profondo e il raggiungimento della catarsi avviene nel momento della percezione piena e lucida di questo legame.

Se dovessimo inquadrare la tua ricerca artistica in una qualche corrente – esercizio sempre pericolosamente riduttivo – potremmo sostenere che tu sia uno dei maestri indiscussi dell’iperrealismo del nostro Paese. La tua perizia tecnica rasenta la perfezione assoluta. Talvolta solo alcuni simboli (di matrice alchemica?) inseriti all’interno dei tuoi dipinti ci ricordano che ci troviamo di fronte a un dipinto. Raccontaci come hai deciso di fondere la tua pittura ad olio quasi fotografica a queste figure circondate di dettagli stranianti che rendono la lettura delle tue opere così criptica.

Tutti noi siamo in un flusso di eventi e quindi anche il più grande innovatore altri non è che il portavoce di innumerevoli coscienze che agiscono all’unisono. Detta così dovrei semplicemente guardarmi alle spalle per cercare i miei debiti; eppure così non è. Perché sì, potrei dire che la mia fascinazione giovanile per l’iperrealismo è uno dei punti focali della mia attuale forma espressiva, che Dalì, Bouguereau o Jules Joseph Lefebvre sono esempi di coerenza e ricerca ai confini della ragione, che Mondrian è esempio di fragore intellettuale, ma è da Monet e dai suoi contemporanei che l’arte del terzo millennio deve ricominciare e che la mia arte ricomincia. La grande cesura del 1917 con la Fontana di Duchamp ha fermato l’arte, l’ha ridotta a scimmiottamento parascientifico e, per un intero secolo, l’ha relegata a mero trastullo semantico e protestatario. L’apoteosi della Pop Art di cui ancora oggi, con i vari rimasticamenti prosaici della street art, sono ricolme quasi tutte le gallerie d’arte, le fiere e le biennali, ha finalmente posto fine al ciclo patricentrico iperegoico di cui parlavo sopra, e la luce, ancorché lontana e fioca, si comincia a intravedere.

La mia visione è di colmare la cesura, è di far tornare nell’arte, nell’espressività umana, quella parte oscura e meravigliosa, fascinosa ed emozionante che stregava le persone di fronte alle opere d’arte, che le manteneva in sospesa attesa, in meditazione, in uno stato di lucida incoscienza. Niente ragione, anche se tutte le mie opere hanno anche quel piano interpretativo (perché non tutti sono pronti a gettarsi nel fuoco che hanno dentro). Ma soprattutto emozione, trasporto inconscio, voluttuosa partecipazione ad un mondo di morbide ombre e di significati non intelligibili, bensì sensibili.

Questa è la missione. La tecnica è un mezzo, scelto tra tanti per compiere la missione. Lo stilema è l’elemento scrematore: non tutti hanno gli strumenti per accedere alle chiavi di risonanza delle mie opere; lo stile, il realismo accentuato è il vettore attraverso cui, chi è potenzialmente predisposto ad ascoltare le musiche che provengono dai simbolismi delle mie opere, perviene ad una sorta di illuminazione che inconsciamente ricompone la cesura di Duchamp e fa compiere al contempo un passo verso l’autocoscienza. Dei simboli e del presunto esoterismo, che ha assunto a torto un’accezione dispregiativa verso tutto ciò che non si comprende con la ragione, può essere il tema di una o di decine di altre domande, dato che noi tutti siamo immersi quotidianamente, a nostra insaputa, in un flusso sterminato di simbologie, come una sorta di Matrix semantica. Solo l’intuire questo genera vertigine e la vertigine è la porta verso un nuovo mondo. Agli artisti il compito di traghettare chi vi si affaccia, alle gallerie e ai critici d’arte il compito di scovare questi artisti, che per loro natura sono schivi e sfuggenti.

 

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